Si comunica che il Castello di Venere è temporaneamente chiuso per lavori di riqualificazione.

ll Castello di Venere

Le origini di Erice sono indissolubilmente legate al sacro “thémenos”, il santuario a cielo aperto dedicato al culto dell’Afrodite greca e della Venere Ericina romana, luogo che attirava popolazioni provenienti da ogni parte del Mediterraneo e dove, secondo Diodoro Siculo, Erice, figlio di Bute e di Afrodite stessa, aveva eretto il tempio dedicato alla propria madre e fondato la città. Nel “thémenos” i marinai di passaggio si univano alla dea tramite l’amplesso con le jeròdulai, le sacerdotesse del tempio, giovani prostitute dispensatrici di sensualità e passione.

Le origini

Il Castello di Venere era anticamente collegato attraverso un ponte levatoio, lo stesso del quale fa menzione il geografo arabo Ibn-Giubayr (sec.XII), con le cosiddette Torri del Balio. Nel Castello dimorarono i maggiori rappresentanti dell’autorità regia fra cui il Castellano che amministrava la giustizia penale e che annoverava, tra i suoi compiti principali, la direzione del carcere e la manutenzione della fortezza il Bajulo che soprintendeva alla giustizia civile oltre che al controllo sul pagamento delle tasse. L’area circostante il Castello assunse il nome di “Balio” proprio dalla figura del Bajulo del regno. Quello che resta oggi dell’antica fortezza fu opera dei Normanni. Al suo interno sono stati rinvenuti – e, anche, purtroppo, perduti – elementi architettonici a supporto del percorso storico, essenzialmente riferibili alla ricostruzione medievale della fortezza, in cui erano stati riutilizzati anche frammenti dell’antichissimo santuario, e alla riedificazione del tempio in epoca romana.

Il Giardino e le Torri del Balio

Dopo il definitivo decadimento dal ruolo di fortezza del castello, delle antiche torri normanne restavano soltanto ruderi e la spianata su cui i cartaginesi avevano eretto le prime fortificazioni era abbandonata all’incuria. Sul finire dell’Ottocento, il conte Agostino Pepoli concluse con l’amministrazione della città un accordo secondo il quale avrebbe bonificato a proprie spese l’intera area e ricostruito le torri, che sarebbero rimaste di sua proprietà. Risultati dell’intraprendenza del ricco e colto mecenate furono, dunque, la riedificazione della torre pentagonale, distrutta nel XV secolo, e della cortina merlata a protezione dell’area interna, nonché la realizzazione del giardino pubblico “all’inglese” del Balio. Quest’ultimo, insieme alla torretta che Pepoli fece costruire sul versante di nord-ovest della rupe del castello, – oggi, dopo anni di abbandono, in corso di restauro e destinata alla nuova funzionalità di “Osservatorio per la Pace” – è indiscutibilmente, uno dei simboli di Erice.

Il sito e le aree di interesse

La rocca sulla quale nel medioevo venne edificato il Castrum Montis Sancti Juliani, conosciuto tradizionalmente come “Castello di Venere”, fu frequentata dalle popolazioni locali sin dalla preistoria, come attesta il ritrovamento di molti oggetti in pietra, ceramica e bronzo rinvenuti nell’area.

A partire dall’età Arcaica (VII-VI a.C.), così come testimoniato dalle fonti storiche e soprattutto da alcune iscrizioni ritrovate ad Erice, il sito fu sede di un Santuario dedicato al culto di una importante divinità femminile della fecondità. La notorietà del Santuario, nel quale si praticava la prostituzione sacra, così come in altri coevi santuari sparsi lungo le principali rotte marittime del Mediterraneo, si accrebbe dopo la conquista della Sicilia da parte dei Romani (III a.C.) che identificarono la dea con Venere portando il suo culto anche a Roma dove furono dedicati due templi a Venere Ericina.

Dopo un lungo periodo di declino, durato dalla tarda antichità all’alto medioevo quando gran parte dei resti del santuario andarono perduti, nell’area venne edificata una piccola chiesa dedicata a Santa Maria della Neve, forse in concomitanza con la costruzione del castello da parte dei Normanni (XI-XII sec.). In età moderna l’area intorno al castello subì ulteriori manomissioni a partire dalla costruzione dell’attuale rampa di accesso (nel XVI sec.) che sostituì l’antico ponte levatoio, colmando il fossato che divideva la parte bassa fortificata (noto con il toponimo di castello del “Balio”) dal nucleo sulla rocca. Ulteriori interventi di restauro e manomissioni furono condotti dal conte Pepoli nel XIX secolo; infine, scavi archeologici eseguiti dalla Soprintendenza alle antichità nel 1930-31 e condotti dal Cultrera, modificarono ulteriormente gli spazi interni del monumento, con l’abbattimento di muri e l’apertura di saggi di scavo grazie ai quali è stato possibile individuare solo parzialmente le antiche strutture relative al recinto sacro del santuario.